Pastori, apologeti e altri cristiani proclamano la morte degli apostoli come prova della fede cristiana. Come ho spiegato in The Fate of the Apostles (Il destino degli Apostoli, ndr), la volontà degli apostoli di essere martirizzati per la loro fede è una prova fondamentale dell'affidabilità dei racconti della risurrezione.
Nonostante la popolarità di questa affermazione, non ci sono resoconti precoci e affidabili che indichino che agli apostoli fu data l'opportunità di ritrattare le loro convinzioni prima di essere uccisi. Questo compromette l'affermazione che essi furono martiri?
La prima testimonianza di esecuzioni per il solo fatto di portare il nome “cristiano” proviene da una lettera che il governatore, Plinio il Giovane, scrisse all'imperatore Traiano (112 d.C.), molto tempo dopo la morte dell'ultimo apostolo:
Li interrogai per sapere se fossero cristiani; quelli che confessarono li interrogai una seconda e una terza volta, minacciandoli di punizione; a quelli che persistevano ordinai l'esecuzione. Infatti non avevo dubbi che, qualunque fosse la natura del loro credo, la testardaggine e l'ostinazione inflessibile meritassero sicuramente di essere punite …. Quelli che negavano di essere o di essere stati cristiani, quando invocavano gli dèi con parole dettate da me, offrivano preghiere con incenso e vino alla tua immagine… e per di più maledicevano Cristo… questi ho ritenuto che dovessero essere congedati"[1].
Sebbene Plinio rappresenti il primo riferimento esplicito al fatto che il solo portare il nome di “cristiano” sia sufficiente a giustificare la morte, ci sono buone ragioni per ritenere che la pratica esistesse già da molto prima, addirittura fino alla metà o alla fine del primo secolo, quando gli apostoli si impegnarono nell'attività missionaria.
Pietro esorta i cristiani ad aspettarsi e ad accettare la persecuzione per il nome di Cristo: “Se qualcuno soffre come cristiano, non si vergogni, ma glorifichi Dio in questo nome” (1 Pietro 4:16). Nel suo classico studio sulle persecuzioni nella Chiesa primitiva, Geoffrey de Ste. Croix sostiene che la persecuzione “per il nome” iniziò probabilmente al tempo dell'imperatore Nerone (54-68 d.C.): “Coloro che negano l'importanza precoce di questo elemento di lunga durata hanno l'onere di fornire le ragioni per cui esso sarebbe apparso solo dopo l'epoca di Plinio, quando tutto ciò che sappiamo della religione romana ci porterebbe ad aspettarci la sua comparsa molto presto dopo che il cristianesimo ha attirato per la prima volta l'attenzione del governo”[2].
La professoressa Candida Moss, invece, ritiene che la mancanza di documenti ufficiali che attestino che agli apostoli fu data l'opportunità di ritrattare e così continuare a vivere comprometta la validità della loro testimonianza. Questo è l'elemento mancante, sostiene, necessario per sostenere la tesi della loro morte per Cristo[3].
L'autrice ha ragione quando afferma che agli apostoli non è stata offerta l'opportunità di ritrattare, ma essi esercitavano il loro ministero in ambienti potenzialmente pericolosi, con la piena consapevolezza delle possibili conseguenze delle loro azioni[4]. E avrebbero potuto facilmente ritirare le loro convinzioni in qualsiasi momento. Come ha osservato Thomas Wespetal, “così individui come Giovanni Battista, Zaccaria (2 Corinzi 24:20-22) e Uria (Geremia 26:20-23), sebbene non avessero avuto alcuna opportunità formale di ritrattare, avrebbero potuto evitare la loro morte se avessero preso l'iniziativa di revocare le loro accuse contro il loro re”[5].
Gli apostoli proclamarono pubblicamente la signoria di un criminale crocifisso, condannato dallo Stato romano. Gesù li aveva persino avvertiti che sarebbero stati perseguitati e odiati come lui (Giovanni 15:18-25). Ogni volta che gli apostoli proclamavano il nome di Cristo, quindi, rischiavano volontariamente la morte e la persecuzione. Tuttavia, si rifiutarono di smettere di proclamare Gesù risorto. Data la loro attiva proclamazione di Cristo e la loro piena consapevolezza del costo di tale proclamazione, se alcuni degli apostoli sono morti per la loro fede, rientrano nella definizione tradizionale di martire.
[1]Pliny the Younger Letters 10.96-97, as cited in Roman Civilization: Selected Readings, 3rd ed., ed. Naphtali Lewis and Meyer Reinhold, vol. 2 (New York: Columbia University Press, 1990), 551-53.
[2]G.E.M. de Ste. Croix, Christian Persecution, Martyrdom, and Orthodoxy, ed. Michael Whitby and Joseph Streeter (Oxford: Oxford University Press, 2006), 150.
[3]Moss, The Myth of Persecution (New York: HarperCollins, 2013), 137.
[4]See Acts 4, 5, 6:8-8:3, and 12:1-5.
[5]Thomas J. Wespetal, “Martyrdom and the Furtherance of God’s Plan: The Value of Dying for the Christian Faith” (Ph.D. diss., Trinity Evangelical Divinity School, 2005), 34.
—————————————————————————————————————————
Sean McDowell, Ph.D. , è professore di Apologetica cristiana alla Biola University, autore di oltre 15 libri, oratore riconosciuto a livello internazionale e insegnante part-time di scuola superiore. Seguilo su Twitter: @sean_mcdowell, TikTok, Instagram e il suo blog: seanmcdowell.org.